A sinistra Padre Gioe, a destra lo stesso con i tre fratelli Dall’Acqua, figli di Ernesto e di Soligon Caterina, appartenenti all’Ordine dei Carmelitani Scalzi: padre Giuseppe (chiamato Gioe): insegnò per molti anni nei conventi di Brescia, Verona, Treviso, Enna. Un male inesorabile se l’è portato via nella primavera del 1999; padre Bruno, missionario nel Madagascar; padre Renato, ordinato sacerdote il 14 giugno a Brescia; svolge il suo ministero attualmente in Sicilia.
Padre Gioe Dall’Acqua, Una quarantina d’anni fa, si recò alle scuole elementari di Colfrancui, un frate della congregazione dei Carmelitani Scalzi, per chiedere agli alunni di quinta se volevano diventare come lui. All’appello, in apparenza tutti convinti, risposero in dieci. Che il “monello” Beppino Dall’Acqua decidesse di farsi frate non erano in molti a crederlo, meno di tutti il suo parroco, don Girolamo Villanova. Quando il buon frate andò a chiedere a don Girolamo cosa ne pensasse, egli rispose schiettamente: “E’ il più distratto”. E con il termine “distratto” lasciava intendere altre cose. Passarono i mesi, si stava avvicinando settembre e il frate non si faceva ancora vedere. Quando finalmente arrivò, Giuseppe gli confermò la sua intenzione. Fu l’unico di quei dieci, a conferma che “lo Spirito soffia dove vuole”. Così, all’età di 11 anni, poté frequentare le medie a Adro, vicino Brescia, alle quali seguì il ginnasio. Alla fine del suo iter religioso fu ordinato sacerdote, nel dicembre del 1974, sempre a Brescia. Proprio per il suo spirito esuberante e vivace, fu indirizzato dai superiori a seguire i giovani studenti all’università di Padova ed in altre realtà. Aderì in maniera piena e contagiosa al movimento di Comunione e Liberazione, fondato da don Giussani a Milano. In seguito fu trasferito a Treviso, poi ad Adro come responsabile della scuola, di nuovo a Treviso come priore e infine ad Enna. Certo, padre Gioe non era un tiepido, uno che lasciasse tranquille le coscienze o non dicesse quello che pensava. Anche ad Enna, si fece apprezzare sia dalla comunità religiosa che dai fedeli, in particolare i giovani. In ottobre del ’98, un medico, suo amico, gli diagnosticò tra le lacrime, la malattia che lo avrebbe portato alla morte. “L’ho dovuto consolare io!” disse sorridendo a quelli che erano andati a trovarlo all’ospedale S. Camillo di Treviso. Ha chiesto un centinaio di francobolli e molti ne ha usati scrivendo a tutti coloro con cui desiderava riconciliarsi o riannodare comunque un rapporto umano; ma la lettera che ha scritto di getto è stata quella a don Giussani il quale gli ha risposto prontamente con una telefonata: l’ha comunicato ai presenti con le lacrime agli occhi, felice come dopo l’abbraccio di un padre. Ha voluto essere fedele alla celebrazione quotidiana della Messa anche quando ormai gli costava una fatica sovrumana e la concelebrava ad occhi chiusi con le mani a palmo aperto appoggiate sul cuscino. Ha vissuto tutta la Settimana Santa con il pensiero di Gesù, accompagnandolo con la sua sofferenza e ricordando a chi gli era accanto le stazioni della Via Crucis.
Il libro di Padre Gioe